martedì 10 agosto 2010

L’adolescenza fu anche peggio.

Alle scuole medie ero identica. Mi piaceva leggere e avevo scoperto abbastanza facilmente che potevo darla a bere gli insegnanti con un po’ di quella che in milanese si chiama “lappa” e con le cose che sapevo di mio. Ottenevo buonissimi voti non facendo nulla e mi ero anche convinta di essere un genio, supportata da questa idea malsana anche dagli insegnanti che trovavano certamente molto più comodo far passare me per genio piuttosto di mettersi loro di impegno a insegnare. Vi basti sapere che ebbi l’8 in inglese facendo l’esame in italiano.
Il duro scontro con la realtà avvenne con le superiori.
Già da allora amavo scrivere e gli insegnanti mi consigliarono il liceo classico. Mia madre, che aveva il senso della realtà, mi mando alle magistrali.
Lo scontro con la Milano degli anni settanta e la scoperta di non essere “unica” fu una bella lezione di vita, però intanto scrivevo sul giornalino parrocchiale e avevo trovato una piccola televisione privata che trasmetteva da una cantina ( allora si poteva) che mi lasciava persino inventare le trasmissioni. In quella tv, facevo la regista, la telefonista, la velina, la presentatrice e la giornalista. Mi mancava solo di fare il cameraman ma si era visto che non ero proprio portata per stare al di qua della telecamera e che preferivo stare al di là.
Per parecchi anni, fino alla regolamentazione delle televisioni private, mi divertii da matti ed ebbi i miei successi.
Intanto avevo cambiato scuola, ero diventata un po’meno vanagloriosa, e studiavo tantissimo perché volevo a tutti i costi diplomarmi. Rimanevo però molto testarda.
Erano gli anni 80, studiavo, mi occupavo dei bambini del mio quartiere, davo ripetizioni, insegnavo a leggere e a scrivere, scrivevo sul giornalino parrocchiale, lavoravo in una televisione privata, facevo sport, odiavo i politici e vivevo nella semi crisi economica che era seguita al boom degli anni sessanta e settanta.




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