mercoledì 13 ottobre 2010

Il fine giustifica i mezzi? L’Avvenire e l’unità d’Italia

Un tempo la morale cattolica aveva le idee chiare: non si può conseguire un bene mediante un male o, per seguire Machiavelli, il fine non giustifica il mezzo. Il che, ovviamente, non significa che da un male non si possa mai trarre qualcosa di buono, ma solo che il male resta male e il bene resta bene. Anche il perdono cattolico di una cattiva azione non dovrebbe prescindere dalla necessità dell’espiazione e della riparazione. Se uso questi termini un po’ passatisti, è per mantenermi sulla linea di un editoriale apparso ieri, 6 ottobre, sull’Avvenire, a firma di Francesco d’Agostino, in cui si sostiene che l’unità d’Italia sia un bene costato tanto male. Il ragionamento è semplice e molto in linea con il pensiero pacifista e perdonista oggi dominante nel mondo cattolico: il Risorgimento, scrive l’Avvenire, «ha un carattere fortemente militare», in più «le guerre di indipendenza furono tutte formalmente guerre di aggressione». Tali «modalità vanno ritenute in linea di principio inaccettabili, così come è inaccettabile qualsiasi guerra», ma da esse «è scaturito un effetto prezioso, l’unità del paese». Se è lecito usare un paragone forte: lo stupro è una brutta cosa, ma se la donna ne esce incinta il bambino è una valore altissimo. Nessuno, però, potrà mai pretendere che l’effetto venga totalmente scisso dalla causa e dalla modalità, dunque dal giudizio morale o - nel nostro caso - storico, su di esso. L’azione di propaganda oggi in atto a livello politico rispetto al cosiddetto Risorgimento non pare invece partire dal desiderio di verità, ma procede in maniera drammaticamente ideologica, sull’antica linea della propaganda che giustifica il fatto compiuto. Solo la verità, anche la verità storica, rende liberi. Anche quando si abbia il coraggio di farlo, chiamare le cose con il loro nome non basta. Men che meno per giustificare un matrimonio riparatore, senza il consenso della sposa. Bisogna fare un passo in più e “riparare” il male commesso. Per questo un giudizio storico realistico e veritiero sul cosiddetto Risorgimento non può limitarsi a denunciare una modalità sbagliata e finire per considerare intoccabili gli effetti. Al contrario, la denuncia di quel “male” deve portare a rivedere le modalità con cui è attualmente gestito il presunto valore dell’unità. Se all’inizio ci fu un atto di violenza, oggi l’unico strumento costituzionale capace di riparare quel sopruso consiste nel ridefinire le forme dell’assenso mediante una coerente riscrittura federalistica di tutto il sistema statale. D’altra parte, per riprendere una delle conclusioni di D’Agostino, se è vero che «se esce distinguendo», occorre domandarsi con coerenza perché dovrebbe essere considerato intoccabile un semplice effetto storico. Quando l’Avvenire scrive che il risultato del processo di unificazione nazionale è «non solo inevitabile, ma irreversibile», da cattolici sorge spontanea una domanda: ma, come insegnano sant’Agostino e la tradizione, non è forse vero che tutto ciò che è storico è di per sé caduco e transitorio? Che cosa significa «irreversibile”? Intoccabile? Immutabile? Inalterabile? Non c’è forse un po’ di confusione tra dogma – che ha a che fare con i contenuti della fede – e storia – che ha a che fare con la libertà dell’uomo e, dunque, con realtà in tutto e per tutto relative? Non pare che nel Catechismo della Chiesa Cattolica sia richiesto credere nell’irreversibilità dello stato unitario postrisorgimentale per essere cristiani e cattolici. Gli stati non sono eterni. E non sono nemmeno dei dogmi. Sono costruzioni umane e, quindi, passano. Alla faccia anche delle costituzioni che sono, appunto, delle convenzioni, delle realtà del tutto umane e, dunque, relative e transitorie. Anche la DDR o l’URSS si pensavano eterne e, prima ancora, tutta una serie di stati che ormai esistono solo sui libri di storia. C’è oggi, in ambito storico e politico un abuso del tutto irrazionale di espressioni come “valore assoluto” o “bene indiscutibile”. Assoluti sono i valori metafisici, non quelli storici o politici. Anche questo è il senso della celeberrima massima evangelica «date a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare».

Fonte: Per una scuola nostra: regionale e federale
Di Giuseppe Reguzzoni, per La Padania 7 ottobre 2010

2 commenti:

  1. Sul federalismo credo che si possa essere tutti d' accordo, ma la secessione sarebbe un male prima di tutto per quelle regioni che la propugnano...

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  2. Non per fare la polemica ma non esiste il federalismo senza secessione. Per poter federare degli stati si ha prima di tutto bisogno di stati da federare, non trovi?

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