mercoledì 1 settembre 2010

Il tetto del 30% di allievi stranieri a scuola è troppo alto.

Il libretto che mi ha dato il prof Bianchini è la raccolta degli articoli che ha scritto e pubblicato sulla Padania quest’anno. Li avevo già letti, ma si sa, quando si ha in mano un quotidiano, lo leggi, magari pensi e approvi quello che hai letto, ma poi non ne fai una raccolta. Perlomeno non la faccio io: credo di non aver tenuto nemmeno i miei articoli scritti sulla Padania gli scorsi anni. E si che l’esperienza di scrivere mezza pagina di un quotidiano non è una cosa che le mamme fanno normalmente, e in un certo modo mi dispiace che non potrò consegnarla ai miei nipoti quando sarò una nonna. Non sono certa neppure di aver salvato il cartellone delle elezioni politiche del 2006, quando fui candidata per la camera dei deputati. Lo avevo messo da qualche parte in cantina, ma non ricordo dove. Il fatto è che la carta che svolazza in giro mi da fastidio. Ecco perché sono grata a Sergio di aver raccolto le sue riflessioni sulla scuola in un libretto agevole da consultare e che sicuramente riuscirò ad utilizzare meglio di una scatola piena di ritagli di articoli di giornale che resta a prendere polvere sotto ad un mobile.
L’interesse degli articoli proposti da questo libretto però è davvero grande: hanno una visione, però, da professionista, mentre il mio è quello dall’altra parte.
Prendiamo ad esempio l’articolo che parla degli sforamenti del tetto del 16% degli stranieri nelle scuole. A me come mamma ovviamente non va giù il fatto che mio figlio debba rinunciare ad avere una buona istruzione perché è in una classe dove quasi la metà dei bambini non parla italiano ed ha una preparazione di partenza molto più bassa della sua. Sia chiaro: non è una questione di razzismo o di amicizie, ma piuttosto del fatto che in una situazione del genere i bambini che sanno già comunicare in modo chiaro saranno lasciati a sé stessi, perché gli insegnanti devono dedicare più tempo ai bambini che hanno meno basi di partenza.
Quando i bambini vanno alla scuola materna le insegnanti fanno, a noi genitori, una marea di prediche perché "non dobbiamo anticipare i tempi", non dobbiamo insegnare ai nostri figli a leggere e scrivere prima che inizino la scuola, perché, poi,  a scuola, quando la maestra insegna a tutti come si fa a scrivere e a leggere, loro, che lo sanno già fare, si annoiano…
Cosa ci diranno in questo caso? Che non dobbiamo insegnare a parlar ai bambini altrimenti a scuola si annoieranno se non imparano ad esprimersi in modo corretto insieme agli altri?
Il problema, anche se lo sto prendendo un po' alla leggera, è serio.
Il nostro Sergio Bianchini affronta la cosa dall’altra parte del banco e fa notare che il ministero ha comunicato che le scuole che hanno sforato la soglia del 30% di stranieri nelle iscrizioni alle classi prime per l'anno scolastico 2010-2011 sono pari al 16% e che questa percentuale di sforamento non è per niente piccola, anzi. Poi che in città come Mantova e Cremona lo sforamento si aggira intorno al 35% delle scuole.
Solo dei numeri per noi genitori? Eh no. Già il fatto che abbiano detto che il limite massimo di stranieri è del 30% di bambini stranieri per ogni scuola fa paura perché se facciamo due conti vuol dire che in ogni classe fatta da 25 bambini di sei anni c’è una media 7 o 8 bambini che non parlano italiano, ma se poi mi dicono che questo limite viene sforato vuol dire che in alcune scuole mio figlio potrà essere in una classe con anche il 50% di bambini che non parlano italiano. Quindi significa che, al di là dei voti che prenderà, i bambini che sono in grado di esprimersi  andranno per forza lenti nel programma.
Non è più il caso del genitore che pretende di aver il figlio nella classe dove ci sono tutti figli di laureati perché così la base culturale di partenza è più alta e si garantisce un migliore bagaglio culturale, acquisito più in fretta, e una sicurezza nell’apprendere che permette di fortificare le conoscenze ed avere una storia scolastica già destinata al successo.
Qua  siamo al limite dell’impossibile, e anche la mamma meno aggressiva si troverà a lottare per non vedere il proprio bambino nella condizione di non riuscire a scuola, una volta arrivato alle superiori, perché ha avuto delle basi labili ma gli hanno fatto credere, visto che in classe era sicuramente il più bravo, di essere un genio. Sanno che in questo caso il loro bambino non sarà abituato a conquistare nulla.

Ovviamente le maestre, specialmente se di sinistra, quando sentiranno questo genere di discorsi alzeranno gli scudi, nascondendosi dietro la loro professionalità, dicendo alle mamme che si sentono offese per la mancanza di fiducia, e avanzando quella sottile accusa di razzismo che tanto ci fa imbestialire.
Eppure lo sanno benissimo anche loro che il problema c’è, è bello grosso, che non riusciranno ad affrontarlo e che i nostri bambini non avranno una buona esperienza scolastica. Preferiscono far finta di nulla, oppure come dice il bravo Bianchini, fare come fanno i mondialisti  che “tendono ad annacquare la questione dicendo che molti stranieri non hanno problemi linguistici” e per risolvere il problema non trovano di meglio che cercare di dare la cittadinanza italiana a tutti i bambini. Noi casalinghe, di ogni razza e cultura, chiamiamo questo tutte nello stesso modo: “nascondere la polvere sotto il tappeto”.

C’è un altro punto di vista di mamma che sposa completamente quello del professionista della pedagogia, nel libretto di cui vi sto parlando ed è la definizione della istruzione. Dice Bianchini:
“Infatti si tratta non solo di ridurre le difficoltà di natura linguistica ma anche di rendere effettiva la trasmissioneorganizzativa della vita quotidiana e delle relazioni sociali quotidiane che si è formata in secoli viene trasmessa per osmosi dai contatti tra ragazzini e genitori e non solo dalle lezioni dei docenti. Sopra la soglia del 30% questa trasmissione sarebbe evidentemente molto difficile.”
Ecco, io, da mamma, non avrei saputo dirlo così bene. Forse lo avrei detto così: “uno va bene, ce la facciamo, ma più di tre no, perché è umanamente impossibile integrarli fra di noi se sono in tanti”
E sia chiaro: non si tratta di scegliere i compagni di giochi, anche se anche su questo ci sarebbe da dire qualcosa. Si tratta di scegliere la scuola. Anche se, visto il lunghissimo orario in cui i bambini restano a scuola, molto spesso amici di scuola e amici di casa finiscono per coincidere. Ma con questo apriamo un altro argomento che vorrei lasciare per i prossimi giorni, cioè la maledizione del tempo pieno all’italiana.

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